marzo 2025

“… preter alia damna, cancellaria tota periit.”

di Emanuele Tedeschi

Inauguriamo l’iniziativa “Il documento del mese” con la disamina di una riformanza comunale del 1535 contenuta nel registro denominato “Consilia 1535 absque 1539”, con segnatura n. 59 della serie “Registri” dell’Archivio storico comunale, dal 1969 conservato presso l’Archivio di Stato di Ascoli Piceno (ASAP, ASCA, Consilia, reg. 59, c. 1rv). Con il termine riformanze si intendono gli atti prodotti dal complesso insieme di consigli e magistrature del Comune ascolano (Anziani, Consoli, Conservatori, Consiglio dei Cento e della Pace, Consiglio Generale, vari notai e magistrati addetti di volta in volta alle cause civili, alle entrate e uscite, alla tenuta dell’archivio, ecc.) che in antico regime erano deputati a deliberare, a “riformare” appunto, su diverse materie di loro competenza in base al dettato degli Statuti. Gli atti, redatti da pubblici ufficiali all’uopo incaricati, in genere notai, oltre ad offrirci un interessante spaccato di storia istituzionale, costituiscono una fonte preziosa per la ricostruzione di vicende cittadine. Il documento di cui andremo tra poco a parlare ci rende infatti edotti su uno dei fatti più importanti, e allo stesso tempo più tragici, per la storia archivistica della città di Ascoli Piceno. Scendiamo nel dettaglio.

Anno del Signore 1535. Il tentativo di sottrarsi al protettorato ascolano da parte di Castignano sfocia in episodi di violenza. Uno dei più gravi si verificò in autunno a Perugia, dove risiedeva il pontefice Paolo III; qui, il nobile ascolano Astolfo II Guiderocchi, venuto in città a perorare la causa degli ascolani, s’imbatté con Michele Recchi, patrocinatore delle istanze castignanesi, e gli si avventò contro, uccidendolo insieme a un servitore. Il 10 novembre 1535 il pontefice inviò ad Ascoli il commissario straordinario Giambattista Quieti, giurista modenese, per processare il Guiderocchi nel frattempo resosi latitante. Il 24 dicembre il commissario Quieti concluse il processo e il giorno successivo, venuto a sapere che il nobile ascolano era tornato in città e si nascondeva nella casa di Vincenzo e Costanzo Malaspina, decise di arrestarlo. Il notaio delle Riformanze comunali, Ostilio di ser Girolamo di ser Fabrizio da Montedinove, in data 29 dicembre 1535, nel dare inizio alla redazione degli atti consiliari, ci informa che: “Erat in civitate magnifica asculana commissarius pro sanctissimo domino nostro Paulo tertio dominus Iohannes Baptista Quietus, laicus mutinensis iuris utriusque doctor, quin vigesima quinta decembris anno millesimo quingentesimo trigesimo quinto, celeberrimo die quo redemptor orbis venit in mundum, simulans velle per civitatem deambulare cum magistratu veterum et novorum antianorum ac consulibus contulit se ad domum Vincentii et Constantii de Malaspinis pro aliquos ibidem morantes capiendos, qui ad defensione inde offensionemque exeuntes, curiam in fugam verterunt, in plateamque superiorem venientes, cum civibus diverse factionis aliquantisper dimicarunt, unde coacti fuere in palatium magnificorum Antianorum sese reciperere cui, postridie mandato dicti commissarii, hora vesperarum, ignis fuit iniectus qui ob copiam et vetustatem trabium et contignationum statim validus et vento adiuctus omnia consumpsit, duravit tamen ad multam noctem. Tantum palatii restitit, quantum capit spacium salae magnae cuius tectum cecidit, quia capita tignorum fuerant incensa omnes predicti, preter unum qui in turri fuit incendio absumptus, incolumes fuere, alius per tectum preceps devolavit, per fenestras alii sese deiecerunt et aliis variis modis, quod totum pessimo publico factum fuit, nam preter alia damna, cancellaria tota periit. Ideo magnifici domini Antiani mutarunt residentiam ut inferius videbitur, nomina civium seriesque rei hic studenter omictuntur”.

La vivida testimonianza del notaio Ostilio ci mostra dunque, con minuzia di particolari, gli ingenti danni riportati dall’edificio che costringono le magistrature cittadine a trasferirsi nell’episcopio e nel convento di S. Francesco: tetto crollato, torre pericolante, pavimenti sfondati, muri divisori collabenti, arredo bruciato. Solo l’ala settentrionale del palazzo rimase parzialmente agibile tanto che il primo piano, non presentando gravi lesioni, fu adibito a sala consiliare. Il palazzo fu successivamente restaurato. Quello che invece andò irrimediabilmente perduto fu l’archivio comunale. Il testo della riformanza è quantomai lapidario: “preter alia damna, cancellaria tota periit”.

Scamparono all’incendio solo pochi registri tra cui: sei registri di atti consiliari degli anni 1469-1473, 1482-1488, 1517-1521; lo Statuto dei notai del 1327, con annessa matricola del 1336; sei registri di Maleficia, vale a dire le sentenze emesse in materia penale dal podestà, del capitano del popolo e dal bargello, per il periodo 1447-1498; alcuni statuti di ufficiali cittadini, come quello del Viale del 1451; sette registri relativi al pagamento di tasse e gabelle dei castelli e ville del comitato di Ascoli per gli anni 1489-1498 e alle entrate-uscite degli anni 1488-1494. Si salvarono anche i documenti conservati dagli Anziani nella sagrestia della chiesa di S. Francesco. Tale complesso, tradizionalmente conosciuto come Archivio Segreto Anzianale, comprende circa 750 pergamene sciolte, gli Statuti, il liber iurium comunale detto Quinternone, i nove volumi del Catasto del 1381.

Il danno inferto alla memoria storica cittadina è irreparabile. La ferita non potrà mai rimarginarsi. Si capisce dunque l’importanza di un’adeguata e strenua opera di tutela e valorizzazione delle poche – ma significative – fonti medievali ascolane a noi pervenute.

Ci piace tuttavia credere che, come una fenice che risorge dalle sue stesse ceneri, anche le fonti archivistiche sopravvissute continuino a rigenerarsi ogni volta che avranno modo di disvelare le loro potenzialità euristiche, contribuendo così alla ricostruzione di un passato altrimenti perduto.

Fonti archivistiche:

ASAP, ASCA, Consilia 1535 usque 1539, reg. 59.

Fonti bibliografiche:

G. Fabiani, Ascoli nel Cinquecento, vol. I, Ascoli Piceno 1957, pp. 221-231;

G. Gagliardi – G. C. Marcone, Il palazzo del popolo di Ascoli Piceno, Cinisello Balsamo 1992, pp. 115-119.